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Channel: Focus On Israel » John Galliano stilista della griffe Dior
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Il pericoloso sdoganamento del pregiudizio antisemita

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Nello star system il rancore antisemita non è più tabù

di Pierluigi Battista

Certo, l’estetica del Male. Il fascino del proibito. Il demoniaco che diventa divisa banale, cattivismo fittizio, spavalderia anticonformista che si nutre solo di bestiali sciocchezze. Ma se nel mondo della moda, dello spettacolo, della televisione, dello star system in generale, dilaga la tentazione della battutaccia antisemita, vuol dire che si profila una sconfitta culturale nell’orizzonte dei modi di dire e delle invettive. Il tabù crolla e l’antiebraismo rischia addirittura di apparire sexy.

John Galliano ha messo in serio imbarazzo la maison Dior per essere apparso, in stato di evidente alterazione etilica, nel video dove l’insulto antisemita si traveste da maladettismo, come la manifestazione di un’eccentricità irriducibile: «Amo Hitler, gente come te oggi sarebbe finita nelle camere a gas» . Ma non tutti hanno condiviso il rigore con cui è stato allontanato dal mondo della fashion. Si è chiesta indulgenza per quel goccio in più che ha schiantato ogni freno inibitorio. Ecco, appunto: quando i freni inibitori tracollano, l’umor nero antisemita non conosce più argini e ipocrisie.

Stagnava nascosto prima, tracima senza troppe inibizioni oggi. Come l’attore americano Charlie Sheen che ha insultato il suo manager Mark Burg come uno «stupido porco ebreo» . Espressioni oscene di un americano mentalmente surriscaldato che la moglie divorziata vuole tenere lontano dai figli per paura del suo temperamento violento? Intanto su Twitter Sheen è diventato un eroe, i suoi fan gli danno appoggio e calore. Uno che dice «porco ebreo» diventa il capo di una comunità virtuale modernissima. Anche questo è il segno della caduta di un tabù.

Un tabù che permetteva almeno una remora, una forma di rispetto esteriore che avrà avuto pure un aspetto di ipocrisia, ma anche un imperativo a non oltrepassare un limite di decenza. Invece il tracollo dei freni inibitori può dar vita a manifestazioni di puro grottesco, sguaiato e tragicamente ridicolo, oppure di prepotenza lessicale adottata anche da persone generalmente considerate «ammirevoli» .

Nella prima categoria rientra certamente il caso di un gruppo pop giapponese, la band Kishidan, che si è presentata alla Mtv nipponica bardata con divise nazistoidi ad accompagnare dozzinali ciuffi alla Elvis, con un effetto finale di una tristezza sconfinata. La Sony, sponsor del gruppo agghindato con quelle uniformi, si è dovuta scusare: il circo antisemita aveva raggiunto livelli di trash insopportabile. Ma invece non ha suscitato particolari reazioni la seconda manifestazione di antisemitismo camuffato, che stavolta ha vestito i panni anarchico-progressisti del re di Wikileaks, John Assange (in realtà si chiama Julian). Il quale ha voluto arricchire il catalogo delle scempiaggini attribuendo al solito nemico occulto la colpa delle sue disavventure: «un complotto degli ebrei per stroncare la mia organizzazione con la complicità dei media britannici» . Ecco, una sciocchezza (anche se poi lo stesso Assange su Twitter ha smentito il tutto). Ricalcata sullo stereotipo consunto dell’onnipotente «lobby ebraica» che trama nell’ombra per fare e disfare i destini dei singoli e dell’umanità. Amplificata dal sapore sulfureo del personaggio, che gode pure di un’aura di martirio grazie all’azione destrutturante della sua creatura elettronica, terrore dei governi e delle diplomazie. Una sciocchezza che qualche anno fa avrebbe scatenato reazioni diverse. Prima della caduta progressiva del tabù.

Che sia il tempo che scorre inesorabile ad allentare i freni inibitori dell’antisemitismo? Forse è così. Ma forse rientra in questa esplosione di banalità antiebraiche anche l’indifferenza, riscontrabile nelle cronache di questi giorni, a scene che pure hanno funestato le rivoluzioni esplose nel mondo arabo. Che nella Tunisi liberata, si sia immediatamente dato corso al rituale incendio di una sinagoga è un fatto (e non solo quello…). Ma è un fatto che non ha guadagnato grande visibilità internazionale. Che i ribelli anti Gheddafi di Bengasi abbiano disegnato addirittura un manifesto murale in cui il dittatore libico nasconde sotto l’ascella il simbolo dello Stato di Israele, è un fatto addirittura sconcertante. Gheddafi «sionista» ? L’antisemita e antisionista Gheddafi un manutengolo del sionismo? L’abuso della critica antisionista come derivazione e riattualizzazione di un pregiudizio antisemita produce i suoi frutti. Parlare «male» dei sionisti, come categoria moderna dei persecutori e dei carnefici, riapre la strada inevitabilmente alla possibilità di parlar «male» degli ebrei tout court. La banalizzazione storica, che consiste nell’equiparare qualunque nequizia contemporanea a Hitler, fa il resto. L’estetica del Male si trasforma nella solita, patetica banalità e conferisce addirittura il brivido della trasgressione a un pregiudizio mai sepolto. La banalità del Male, appunto.

(Fonte: Corriere della Sera, 4 marzo 2011)

Nella foto in alto: Julian Assange, fondatore di Wikileaks


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